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giovedì 31 luglio 2014

Visti questi tempi di crisi e di mancanza di idee, vorrei dare il mio contributo per cercare di superare questo momento e per "rimettere in moto l'economia" con queste indicazioni. Creazioni che si possono mettere in pratica, credo, abbastanza facilmente e che ho raccolto osservando la realtà che ci circonda. Rilanciamo l'economia e usciamo dall'immobilismo!!! Cambiamo radicalmente il nostro modo di vivere.....!!!!!

Alcuni esempi di idee da tradurre nella pratica.

- una macchinetta riscuoti-soldi (tipo alle autostrade, nelle biglietterie automatiche, ecc) che faccia la cresta sul resto.

- costruire strade più strette e senza parcheggi, per far sostare più macchine in divieto di sosta (con tutte le conseguenze del caso).

- una medicina contro il mal di testa che, alla prima compressa, te lo aumenti. Per aumentare il consumo di altre medicine.

- una sfera di cristallo elettronica e digitale, dotata di ipad. Leggere il futuro diventerà più semplice.

- sedi permanenti e dotate di tutti i comfort per le votazioni elettorali (cabine più comode, personale fisso, bar, hostess per accoglienza elettori, ecc.)

- macchinetta distributrice di video giochi e telefonini supereconomici.

. centri di riabilitazione per cellulari e internet-dipendenti (per es. su una montagna o in un eremo)

- personale smista-spazzatura, visti i costi delle tasse sulla raccolta dei rifiuti. Così la differenziazione dei materiali sarà veramente precisa.

Ecco folgoranti idee per iniziare il "rilancio". :-)


martedì 17 giugno 2014

Associazione S.A.

- Ciao, mi chiamo Valentina.
- Ciao Valentina!!
- Sono qui per parlare del mio problema....
- Puoi dirci tutto ciò che vuoi, Valentina!!
- Beh....non so da dove cominciare....
- Coraggio!!
- Beh, anche io, come voi.....ho quel problema...
- Anche noi, non ti preoccupare, Valentina!!
- Allora,....vorrei confidarmi con voi: ne ho bisogno..
- Siamo qui per questo: per essere sinceri!!
- Dunque, comincio dal dato positivo o da quello negativo?
- Come vuoi, Valentina!!
- Sì,....allora mi sto disintossicando.....non lo faccio da due mesi...
- Buonissimo risultato, Valentina!!! Cerca di continuare così!
- Sì, un giorno ho deciso e ho iniziato a non farlo più.
- Ottimo!! Devi tenere un diario, un calendario, su cui segnerai i tuoi progressi.
- Giusto! Non ci avevo pensato. Ma NON voglio un diario. Va bene il calendario...
- Come vuoi Valentina!! L'importante è la costanza.
- Certo! Beh, allora....sono esattamente due mesi e 7 ore che ho smesso di studiare!!!
- FANTASTICO!!
- Ce la farò a continuare? Voi come fate a non ricaderci?
- Tutta forza di volontà, Valentina! E con l'aiuto di tv, videogiochi, telefonini....
- Ora so come fare!! Sono più forte! Terrò duro!
- Bravissima!! La prossima meta da raggiungere è prendere 4 a matematica e, se sarai costante, farsi rimandare a italiano. Pensi di farcela?
- Siiiiiii'!!!!!! Sono sicura!!
- Perfetto! Ci vediamo qui martedì prossimo. Stessa ora. Questa è la coccarda della prima vittoria per te. Complimenti.
- Mi viene  da piangere.....siete troppo buoni con me...grazie.

lunedì 14 aprile 2014

Favole brevi e rivisitate

La brutta addormentata nel bosco

C'era una volta una ragazza, figlia di due operai. Era bruttina e con gli occhiali. Un sortilegio la fece cadere in un sonno profondo. Avrebbe potuto risvegliarsi solo con un bacio di un giovane innamorato. Dormì per quasi 10 anni. Si svegliò da sola quando l'effetto del sortilegio svanì.

Biancanebbia e i sette nani

Era una dolce ragazza, dai capelli color dell'ebano e le guance color pesca. Un giorno una strega cattiva, invidiosa della sua bellezza, ordinò che un cacciatore la uccidesse. Il cacciatore la portò in un folto bosco, dove incontrarono 7 piccoli nani. I piccoletti proposero uno  scambio: pagarono il cacciatore per avere Biancanebbia. Avevano bisogno di una contorsionista per il circo in cui lavoravano. Il cacciatore accettò ben contento e visse ricco e felice.

Cenerentolalalà.

Dopo anni passati a pulire, stirare, rammendare, una giovane e bellissima ragazza decise, con l'aiuto di una fatina buona, di partecipare ad un gran ballo, organizzato dal Principe. La fatina, magicamente, le fece apparire un vestito meraviglioso, delle scarpine di cristallo e una carrozza trainata da cavalli bianchi. Cenerentolalalà andò al ballo felice. Ballò per tutta la sera con il Principe. Ma poco prima di mezzanotte dovette scappare perché l'incantesimo stava per finire. Fuggì perdendo una delle sue scarpine. Il Principe rimase al ballo e invitò un'altra ragazza ancor più bella, con cui si sposò una settimana dopo. I domestici buttarono via la scarpetta. Riciclandola insieme a vetro e plastica.

Pin Occhio

Era un burattino creato dalla fantasia di suo "padre": Geppetto. Il povero falegname lo fece studiare, gli preparò vestitini di carta, lo curò e lo sfamò. Pin Occhio, dispettoso, marinava la scuola, andando dietro a brutte compagnie. Ma la fatina buona lo convinse, alla fine, a comportarsi bene e lo trasformò in un bambino in carne, ossa  e cervello. Per ringraziarla, il bambino cominciò a studiare, giorno e notte, anno dopo anno. Finché divenne un professore ed andò a lavorare in una scuola media, dove incontrò tanti "ciuchini" come era stato lui. E visse quasi felice e senza voce.



venerdì 4 aprile 2014

MenoPas

C'era una volta, ed ancora c'è, una signora che frequentava un corso all'Università.
La signora, insieme ad altre signore, faceva la spola tra casa e scuola, di continuo.
Tutti i giorni, insieme ai libri, si portava un sacchettino con deliziose merendine.
Tra un appunto e l'altro, si mangiava la sua merendina e beveva un delizioso succo di frutta.
Giorno dopo giorno percorreva la stessa strada, con la sua affaticata automobile.
Ogni sera tornava a casa esausta, mangiava, guardava il suo telefilm preferito e andava a letto.
Ma si svegliava diverse volte. In un bagno di sudore.
Una notte, alcune notti, molte notti.
Al mattino si alzava, sudatissima e stanca.
Dopo una doccia si riaveva e ricominciava la sua giornata.
Parola dopo parola, lezione dopo lezione, lamento dopo lamento.
Un giorno, uscendo dall'Università, incontrò una ragazza che al momento non riconobbe.
La ragazza si avvicinò.
La signora si mise gli occhiali, sgranò gli occhi.
"Ciao Anna!!", così la salutò la nonna dagli occhi stanchi e un po' cecati.
 
 
 
Ps. Pas (Percorso abilitante speciale) è un corso superaccelerato organizzato dalle Università per abilitare gli insegnanti precari. Si svolge, almeno per alcune materie, quattro pomeriggi per settimana che, tra poco, diventeranno cinque. Alla modica cifra di 2500 euro. Con tanto di esami finali in giugno e luglio (naturalmente, rigorosamente nello stesso tempo in cui si svolgono gli esami delle scuole medie e superiori).
 
Lungarno di Pisa
 
 


mercoledì 5 marzo 2014

Gli arrabbiati (racconto breve)

Un giorno il signor Rossi, impiegato delle Poste, andò dal macellaio Gigi. Comprò della carne di manzo. La guardò, la odorò: sapeva di vecchio. Il signor Rossi decise di denunciarlo all'Associazione dei Consumatori.

Gigi ricevette la denuncia e pagò. Arrabbiato com'era, Gigi andò a prendersi un aperitivo al bar, per consolarsi.

Franco, il barista, gli preparò un cocktail un po' troppo forte. Gigi quasi stava per soffocare. Uscito dal bar, bianco come un cencio, decise di denunciare l'accaduto ai Nas.

Così Franco, il barista ricevette la denuncia e pagò la sua multa.

Per tranquillizzarsi, Franco, furioso, andò da Noemi, proprietaria di un negozio di abbigliamento. Si comprò un maglione di pura lana. La settimana dopo, lavandolo, accadde che il maglione si ritirò. Franco decise di denunciare il malaugurato incidente alla Finanza, che, dopo breve ispezione, denunciò Noemi.

Ma Noemi non si perse d'animo ed andò, il pomeriggio seguente, dal parrucchiere, Moreno, per taglio e piega. Si sedette e si affidò alle sue mani sapienti. Quel giorno Moreno, distratto, le tagliò troppo i capelli. Noemi uscì dal negozio in lacrime. Decise di andare alla Camera di Commercio per denunciare il fatto. E Franco fu sottoposto, con tutte le lavoranti, ad ispezione. E denunciato.

Dunque, Franco, stufo delle bizze delle sue clienti andò a iscriversi al Centro per l'impiego, per cambiare lavoro. Trovò un impiegato poco propenso ad aiutarlo e perse un'intera mattinata, senza concludere niente. Decise di denunciare l'ufficio alla Provincia. E l'impiegato fu cacciato via.

Fu così che l'impiegato, rabbioso e infelice, mandò sua moglie Filippa alle Poste ad inviare un telegramma a suo fratello, che abitava a San Francisco, per annunciare la sua decisione di raggiungerlo e iniziare una nuova vita lì.

Filippa entrò nell'ufficio postale, con un foglietto, con le poche parole misurate da inviare. Le dettò all'impiegato. Ma, nella confusione dell'ufficio, l'impiegato capì male e scrisse tutt'altro.

Quindi, di mala voglia, Filippa denunciò, pochi giorni dopo, il distratto impiegato postale di turno.

Proprio quel giorno il signor Rossi, impiegato delle Poste, se ne tornò a casa, dalla sua famiglia, senza lavoro.....

Un giorno il signor Rossi, uscì per andare alla banca.....

 
 
 

martedì 28 gennaio 2014

Un quarto d'ora dopo.

Morì.
Lasciando un corpo poco usato.
Temeva che sarebbe successo.
E nel pieno dell'adempimento del proprio dovere.
Senza aver avuto neanche la soddisfazione di usare
il suo esile corpo un po' di più. Un po' più spesso.
Si era risparmiato, con l'intenzione di vivere più a lungo.
Aveva curato il suo aspetto, non aveva fatto troppi sforzi.
Per conservare il suo corpo, il più integro possibile.
Buon cibo. E poco. Poca ginnastica.
Qualche seduta dal fisioterapista. La maglia della salute.
Sempre l'ombrello quando pioveva. Mai a piedi nudi per casa.
Aveva fatto attenzione a microbi e batteri.
E loro, fortunatamente, lo avevano evitato.
Fino a quel giorno. In quella stanza.
Quattro mura scalcinate e scarabocchiate.
Tre finestroni, derubati delle loro guarnizioni anti-spiffero.
E lui lì, in piedi.
Ben vestito e pettinato.
Un velo di polvere bianca sulle sue dita.
Ma non era droga. No: ne era terrorizzato.
Era gesso....bianco, fine, impalpabile.
Così lasciò questo mondo e il suo corpo in ordine.
Ed esalò il suo ultimo respiro con parole
che non furono sentite: "Vieni tu alla lavagna....."
E giù.
Se ne accorse Matteo, della prima fila.
Un quarto d'ora dopo.

Cristina
 
 

lunedì 11 marzo 2013

Cronaca grigia a scuola

Grave fatto di cronaca avvenuto presso l'istituto "A. Manzoni".
Alle 8.30 di sabato mattina un uomo, dal volto coperto, ha fatto irruzione nella scuola, mentre gli studenti erano appena entrati in classe.
Ha preso in ostaggio le due bidelle e si é fatto consegnare le chiavi della scuola.
E' andato subito a chiudere tutte le porte, intimando a bidelle e Preside di non muoversi.
Si è avviato a passo svelto e deciso verso la prima delle aule: una prima.
E' entrato in classe urlando e minacciando gli studenti.
Secondo i testimoni, teneva in mano un bastone e, forse, in tasca una pistola.
Gli studenti, terrorizzati, si sono buttati a terra. Alcuni sotto i tavoli.
Ci sono state vere e proprie scene di panico.
Alcuni hanno tentato di saltare la finestra che li avrebbe portati in giardino.
Ma sono stati fermati dall'uomo, sotto minaccia di essere colpiti.
Ad un certo punto, Raimondelli, l'alunno più scellerato del gruppo, ha gridato: "Conosco la sua voce!!!! Alzatevi!!! Attacchiamolo!!!"
I suoi amici, denominati "i dannati", si sono alzati e hanno circondato l'uomo, colpendolo con calci e pugni.
Quando sono stati sicuri che fosse ormai sfinito, gli hanno tolto il passamontagna.
Era il prof. Monticchielli, insegnante di arte.
Alla polizia, venuta  a prenderlo, ha spiegato: "Era solo una esibizione di arte d'avanguardia...."

lunedì 19 novembre 2012

Anguria meccanica.....

Una notte, un uomo tornava a casa. La moglie lo aspettava inquieta, visto il ritardo del suo arrivo.
La moglie si affacciò alla porta per vedere se il caro consorte era vicino.
 
Si trovò davanti ad un gruppetto di malintenzionati. Costoro la costrinsero con la forza a rientrare in casa e la legarono ad una sedia del salotto. Erano vestiti di azzurro e nero. Le misero una benda nero-azzurra sulla bocca. Dopo una breve attesa, il marito, ragioniere, mise la chiave nella porta ed entrò. Fu immediatamente legato ed imbavagliato come la moglie. Anche lui rigorosamente di nero azzurro. Ma, prima che la sua bocca fosse coperta, osò chiedere di indossare una benda rosso-nera. Gli fu negato.

Chi erano questi figuri? Boh.
I quattro andarono in cucina e presero degli stuzzicadenti e, una volta spezzati in due, li misero sugli occhi dei due sequestrati, in modo che non potessero chiuderli.
Poi, telefonarono ad un uomo detto "Er Barzelletta".
Gli dissero che avrebbero liberato i due solo in cambio di 35 quintali di cocomeri freschi.
Er Barzelletta ammutolì. Dove avrebbe trovato tutti quei cocomeri in così poco tempo?

Andò a trovare tutte le contadine che avevano nelle loro fattorie i cocomeri. Ma non arrivò alla quantità richiesta.
Allora si rivolse al suo consigliere, detto "Er Patata". Questi gli consigliò di rivolgersi a Jessica Fletcher e all'avvocato Perry Mason. Lo fece il giorno dopo.

Con loro riuscì ad escogitare un piano per trarre in inganno i rapitori, ma anche per tenere nascosta la notizia più a lungo possibile.
Intanto, la coppia subì varie torture. All'uomo venne chiesto di ripetere allo sfinimento i nomi delle amiche de Er Barzelletta. Era una lista infinita. Alla moglie fecero cantare varie sigle di programmi tv. Per tutta la notte.

L'indomani, ci fu un attacco alla casa dove erano asserragliati i quattro. Squadre scelte di "Amici", preventivamente addestrate, irruppero nella casa, cantando a squarciagola e leggendo poesie.
All'ennesima poesia, i quattro, esausti, si arresero.
 
Fu così che, alla fine, vennero chiamati i giornalisti per fare qualche foto ricordo. Con corna.

Ma: chi erano quei quattro? E che volevano?





sabato 10 novembre 2012

Quaderno di un'insegnante in punizione

Tema:
Il mio lavoro

Svolgimento.

Il mio lavoro è l'insegnante. Lo faccio in una scuola diversa ogni anno. L'insegnante è un bel lavoro, peccato che a scuola ci siano anche gli alunni.
La mia mamma dice che questo lavoro è bello e mi deve anche piacere molto. Sennò, se lo perdo, sarà un casino. Il mio papà tace. Quello che gli racconto lo lascia senza parole. Sarà perchè sta pensando ad quale punizione darmi. Spero non mi tolga il computer ed i cioccolatini...
Beh, mi alzo tutte le mattine alle sette circa, faccio colazione anche se non mi va e vado a scuola.
Entro alle 8 30 ed esco, di solito, alle 13 30.
Durante la mattinata devo dire che non mi annoio mai. I ragazzi mi tengono molto occupata. Urlano, giocano, tirano palline, non fanno i compiti, dicono parolacce. Insomma, io mi sento circondata da energia positiva. Per me è un piacere stare a contatto con i "miei" ragazzi che danno molte soddisfazioni.
Mi piace vederli distruggere le porte delle classi e battere la testa negli spigoli mentre vengono spinti dai loro compagni. Mi passa il tempo velocemente.
In passato, ho lavorato con studenti adulti stranieri di tutte le nazionalità e classi sociali. Ma non ero così ben motivata. Era noioso. Nessuno mai, dalla prostituta, all'ambasciatore, dallo spacciatore all'ingegnere nucleare mi trattavano così. Il tempo passava lento e tranquillo. Mamma mia......
Nemmeno un'offesina, neanche minima: che monotonia! Nemmeno gli omaccioni agli arresti domiciliari mi massacravano di sberleffi. No, non potevo andare avanti.
Così, ora sono qui. E mia mamma dice che è bene che ci rimanga più possibile. Dice che non devo neanche immaginare di lasciare e cercare altro. E poi, perchè farlo? E' universalmente noto che siamo nati per soffrire.
La mia conclusione: ma poi, alla fine, andrò in Paradiso? O finirò in altri luoghi, circondata ancora dalle urla e stridor di denti (citazione) degli alunni?



Valutazione: 10/50
Voto: 4
Giudizio: si vede che hai studiato, ma non ti applichi.



martedì 30 ottobre 2012

The choosy island

Dopo aver vagato mesi per i sette mari, tra pirati e tempeste, la nave Iatila si imbattè in un tremendo uragano.
La ciurma lottò giorni per resistere alla sua furia, ma, alla fine la nave colò a picco, negli abissi più oscuri.
Solo due persone, tra le decine che affollavano Iatila, si salvarono miracolosamente e si ritrovarono semi-vive sulle spiaggie di un'isola deserta.

Aprirono gli occhi a fatica, esausti, nel mattino che seguì il disastro. Si riconobbero a fatica. Erano malconci, ma ancora loro: il Comandante, Emiliano, ed il capo dei marinai, detto il Sindaco.
Tra loro non era mai corso buon sangue, ma quello non era il momento di fare gli schizzinosi. Si aiutarono a mettersi in piedi, guardandosi negli occhi. E poi capirono: erano soli.

Dopo qualche ora di smarrimento, bisognava decidere il da farsi. Costruire una capanna, cercare da mangiare, orientarsi.
Il Capitano cominciò a organizzare ed a impartire degli ordini al "Sindaco". Questi cominciò a costruire la capanna, mentre Emiliano tentò di esplorare l'isola.
Trovò anche qualche radice e noci da mangiare.
 
I giorni passavano, ma nessun segnale di vita, nessuna nave si vedeva all'orizzonte. Bisognava unire le forze per sopravvivere alla sventura. Altrimenti sarebbero periti entrambi.
Il Comandante ordinò di costruire una zattera. La classica soluzione. Ma, questa volta, il "Sindaco", stufo di subire e ambizioso di prendere il potere, rispose di no. Emiliano, furioso, tentò di colpirlo con un sasso. Ma non ci riuscì. Non era più così giovane e la sua vista lo portò fuori strada.
 
Da quel momento, i due cominciarono a vivere due vite distinte, ingnorandosi. Ma poi la situazione precipitò: cercavano di rubarsi i pochi cibi, di distruggere la capanna dell'altro, di spiarsi. Insomma, si odiavano. Avrebbero fatto di tutto per sottomettere l'altro. Ogni regola poteva essere infranta.
 
Entrambi si misero a lavoro e riuscirono a costruire due zattere. Entrambe potevano affrontare a malapena il mare aperto.
Si spiarono e capirono le mosse l'uno dell'altro.
La mattina di un giorno di sole, all'alba, partirono. Da due punti diversi dell'isola. Non si potevano vedere ma sapevano che anche l'altro stava partendo.
 
Dopo aver remato per una mezz'ora, si trovarono in mare aperto. Il cielo si fece grigio improvvisamente. Ognuno dalla propria postazione vide qualcosa apparire all'orizzonte. Era una macchia nera. Si avvicinava. Si fecero cenno. Si avvicinarono. E,dopo un saluto ed una richiesta di aiuto, vennero sommersi da un'ondata nera, intrisa di petrolio.

Finì così la loro avventura. Mentre una enorme petroliera sopraggiungeva e l'isola diventava nera.........

Cristina


mercoledì 10 ottobre 2012

MARIO E I COLORI


Mario era un uomo già di una certa età. Alto, capelli bianchi, occhiali. Sguardo un po' assente. Voce priva di vita.
Aveva condotto la sua esistenza fino a quel punto in modo monotono ma, per lui, brillante.
Era stato un professore.

Ma un giorno ricevette improvvisamente una telefonata da un suo conoscente: Giorgio.
Giorgio aveva bisogno di un favore. Urgente.
Mario lo ascoltò e promise di aiutarlo.
Con la sua nota flemma e la valigetta raggiunse Giorgio.
Il giorno dopo quel colloquio, la sua vita di famoso sconosciuto cambiò.

Cominciò promettendo davanti a tanta gente di aiutare un paese che stava affondando.
Formò un gruppo di collaboratori, tutti grigi e seri. Come lui.
Ma questo grigiore sembrò alla gente rassicurante, in confronto ai colori sgargianti e volgari a cui era stata abituata.
Il grigio gruppo si mise a lavoro, tra lacrime e promesse.
La gente stette a guardare, con attenzione e grande speranza.
Sperava che si potesse arrivare ad un compromesso tra il grigio piombo e i colori vistosi di prima.
La gente voleva arrivare ai colori pastello o anche decisi. Un verde, un giallo, un azzurro. Ecco, tutto lì.

Beh, passarono i giorni, i mesi. Ma il grigio che emanava il gruppo si estese insinuandosi in tutti i campi, le città, le scuole, le case.
Una mattina, molti si alzarono e davanti allo specchio di casa videro una persona che stentarono a riconoscere: erano loro. Grigi.
La speranza, quel filo di ottimismo, l'entusiasmo se n'erano andati.
Tutto coperto da un velo grigio.

Beh, quel grigio è qui, in mezzo alla gente, che aspetta un soffio di aria pulita. Aspetta che le vengano restituiti i colori.
 
Cristina




giovedì 16 agosto 2012

Una invenzione didattica

E dalla porta apparve la nuova insegnante.

Con movimenti un po' rigidi, ma decisi, si sedette sulla sua sedia dietro la cattedra.
Gli studenti, che fino a quel momento avevano riso e lanciato palline di carta, si azzittirono.
Quell'insegnante era decisamente diversa.
Il  Ministero della Pubblica Distruzione aveva deciso di inviare nuove forze, nuovo dinamismo nella scuola.
Gli studenti, ad un cenno dell'insegnante si sedettero, docili come agnellini. Si guardarono tra loro e attesero.
Dopo alcuni secondi di silenzio tombale, la prof aprì bocca e disse qualcosa con una voce calma, fredda e decisa.
Cominciò esponendo le sue regole ferree.

"In classe non si parla di nient'altro che dell'argomento della lezione."
"Non ci si alza dalla sedia, se non dopo avuto il permesso."
"Non si ride."
"Non si tocca il cellulare."
"Si va in bagno quando lo dico io."
"Si parla solo se richiesti."

E aggiunse: "Qualche obiezione o domanda?"

Un ragazzo, tale Gabriele (il bulletto), si alzò, ridacchiò, mostrò il suo cellulare connesso a Facebook e chiese di andare in bagno.

La prof spalancò gli occhi, dai quali uscì un raggio di luce che colpì il malcapitato (?) Gabriele, che cadde tramortito sulla sedia.

La prof aggiunse. "Altre domande?"

Una ragazzina, dalla prima fila, una delle cosiddette secchione, alzò la mano, terrorizzata.
La prof fece cenno di parlare.

"Buon giorno", disse Elisa, "come si chiama?"

La prof, con una calma raggelante, rispose: "Ci hanno chiamato Roboteach."

venerdì 4 maggio 2012

Cappuccetto verde - breve favola moderna

C'era una volta un bambino piccolo che amava vestirsi di verde. I suoi amichetti lo chiamavano "Cappuccetto verde".
 Portava spesso una giacchettina verdina con un fazzolettino verde nel taschino e calzoncini corti. Anch'essi verdi. In testa un berrettino verde scuro, per proteggersi dal freddo delle sue campagne.
Viveva in una casetta sulle rive di un fiume, insieme a suo padre, Umberto, e sua madre.
Suo padre gli aveva insegnato a creare tazze di legno, ampolle di vetro, brocche di terracotta, con cui lui amava raccogliere l'acqua del fiume. La  portava spesso in regalo ai suoi amichetti e spesso, giocando, gliela faceva bere, dicendogli che era magica.
Un giorno, anche lui la bevve e la sua voce cambiò: divenne roca ed i suoi occhi cominciarono a somigliare a quelli di un pesce. Per questo, gli amici aggiunsero all'altro un nuovo soprannome: Trota.
Il bambino cresceva tra i boschi e le valli, mimetizzandosi tra il verde dei prati.
Un giorno, quando ebbe compiuto i 18 anni,  suo padre decise di mandarlo a lavorare in un ufficio per dargli una occupazione. Ma ben presto si rese conto che il ragazzo, forgiato dalla vita verde dei boschi, non aveva un diploma.
Così Umberto chiese aiuto ai folletti dei boschi che lo iscrissero alla loro scuola superiore e, in ben 3 mesi, riuscì a dare la maturità verde in ragioneria, con il massimo dei voti. Il padre ne fu orgoglioso: finalmente suo figlio sapeva far di conto (almeno fino a 10).
Lo spedì quindi all'ufficio e il Trota-Cappuccetto Verde si fece tanti nuovi amici: ballerine, giocolieri, linchetti, volpi.
Ma dopo qualche tempo, si mise in testa di far carriera. Altro problema: ci voleva la laurea.
Ancora una volta intervenne il papi che lo mandò nello stato di  Blancania, dove c'era un'Università che si chiamava "Sfera di cristallo".
Cappuccetto Verde partì e, appena arrivato, grazie ad una forte dose di acqua del suo fiume, imparò immediatamente il blancanese, lingua difficilissima.
Il giorno dopo iniziò a frequentare le lezioni all'università e, in un anno, riuscì, sempre con il massiccio aiuto della mitica acqua, a superare 20 esami in blancanese.
Venne il giorno della Laurea e i genitori presenziarono alla cerimonia: la Laurea verde in Economia. Giorno stupendo in cui Cappuccetto ricevette in regalo una macchina verde smeraldo con autista, una casa  sull'albero e una ampolla di oro massiccio.
Tornò quindi nel suo paese, con genitori, macchina ed autista.
Lasciò il lavoro in ufficio, tornò nel suo paesello natale, con macchina ed autista, percependo ugualmente il tanto agognato lauto stipendio.
E visse per sempre felice, verde, ricco e contento.


giovedì 12 aprile 2012

IL RICORDO DI BERENICE - ottava ed ultima puntata

La cena era terminata. La tensione delle ore che l'avevano preceduta si era allentata. Ma Mario sapeva bene perchè. Ora non aveva più niente da temere. Era pronto.
La donna si era apparentemente divertita ed aveva conversato con leggerezza ed un pizzico di civetteria.
Arrivò il momento del liquorino che Mario aveva l'abitudine di prendere dopo i pasti.
Aprì lo sportello del comò e prese con cura quel fiaschetto che conteneva una grappa preziosa e profumata. Lo mise su un vassoio, insieme a due piccoli calici. Un altro oggetto apparve dietro le bottiglie. Lo prese e se lo mise in tasca.
La donna accolse l'idea della  grappa come digestivo in modo euforico. Bevve il suo bicchierino d'un fiato. E poi se ne versò un altro. Mario ne fu sollevato. Sarebbe stato tutto più facile. La grappa scorreva tra le loro gole, bruciandole, ma lasciando un senso di ebrezza e leggerezza.
Poi, Mario si alzò per riporre gli ultimi piatti e di colpo si fermò alle spalle della donna. Tirò fuori il suo strumento dalla tasca in cui lo aveva riposto  e colpì Bianca con un gesto da maestro direttamente alla gola.

Il sangue uscì come un torrente. La donna ebbe solo un momento per cercare di voltarsi. Fece solo in tempo a guardarlo negli occhi e a tentare di urlare. Ma la sua anima uscì immediatamente dal suo corpo.
Mario guardava quel corpo cosparso della sua linfa vitale e non provò niente.

Prese la donna e, senza provare alcunchè, la portò di peso sul letto. Su quel letto che negli ultimi giorni era tornato ad ossessionare la sua mente. La compose, con le mani incrociate sul petto.
A questo punto doveva compiere l'ultimo atto.
Aprì l'armadio lucido e ben levigato dal tempo. E lì trovò la cassetta di cui aveva bisogno. La dischiuse e ne estrasse una lucente tenaglia.
La fece scivolare con cura nelle sue mani. La guardò e seppe immediatamente cosa fare.
Si avvicinò alla donna. Ora essa giaceva distesa, quasi serena.
Mario volle vedere il suo sorriso di nuovo e le aprì con attenzione, quasi affetto, le labbra.
I suoi denti candidi fecero la loro comparsa. Che contrasto con il sangue che cospargeva i suoi abiti.
Il lavoro iniziò.

Dopo due ore, era lì. Seduto nel suo salotto. In mano la sua preziosa scatola. Era aperta. Ora la sua smania si era placata. La scatola era aperta e Mario fissava il suo contenuto.
Adesso, possedeva altre "perle" . Quel sorriso che aveva perso molti anni fa.
Il sorriso di Berenice.

domenica 18 marzo 2012

IL RICORDO DI BERENICE - settima puntata

Si avvicinava il giorno e lui aveva cercato di distrarsi in tutti i modi, per non fissare la sua mente solo su cosa lo aspettava.
Ma quella porta lo fissava, lo chiamava. A tratti ricordava come si erano svolti i fatti, ma era tanta la potenza di quel ricordo che, subito dopo, la sua mente cercava di espellerlo. E vi riusciva.
C'erano voluti anni, ma era riuscito a tenere sotto controllo la sua parte violenta. Aveva lavorato molto su se stesso. Aveva faticato molto a controllarsi. Non sapeva nemmeno lui come ce l'aveva fatta. O forse sì. Si era annientato, nei sentimenti e nel corpo, vivendo una vita anonima e insignificante. Ma quelle sue abitudini, quella routine, lo avevano salvato.
Ma i suoi sogni erano spesso occupati da ricordi avvelenati.

Arrivò, finalmente, il giorno dell'appuntamento. Sabato.
Lui si alzò di buon ora, fece colazione, dette da mangiare a Peppe, lavò subito la sua tazza. Era nervoso, ma faceva di tutto per frenarsi. Ma sapeva, in cuor suo, che non sarebbe stato facile. La sua parte irrazionale gli imponeva di fare quello che non avrebbe voluto.
D'improvviso, sentì l'impulso inarrestabile di tornare ad aprire la porta. Si diresse verso la stanza, girò la chiave ed aprì. Il letto era candido, la stanza semi-buia. Accanto al letto un armadio chiuso a chiave. Tocco il legno levigato dell'armadio e girò la sua chiave: era tutto a posto.
 Tutto pronto. - pensò il suo io istintivo.
Il terrore lo afferrò alla gola. Per un momento il Mario abitudinario e insignificante vacillò. Sentì che la testa gli girava. L'energia di quella stanza gli toglieva quella misera lucidità che gli rimaneva.
Chiuse l'armadio e uscì di corsa. Si sedette e aspettò di riprendersi.

Un'ora dopo, era in strada, diretto alla botteghina di alimentari poco distante da casa sua. Comprò alcune cose per la cena. Tutto procedeva bene. Nel migliore dei modi.
La donna avrebbe dovuto telefonargli verso mezzogiorno, per confermare la sua presenza e per sapere come arrivare a casa sua.
A mezzogiorno spaccato, il telefono squillò. Lei, cinguettando, lo salutò e richiese gli ultimi dettagli per arrivare lì.
Mario fu cordiale, per quanto il suo carattere glielo permettesse. La donna si disse felice di quell'incontro.
Mario attaccò la cornetta con lentezza. Si sedette accanto alla finestra, con la faccia tra le mani e pianse.

domenica 11 marzo 2012

IL RICORDO DI BERENICE - sesta puntata

I giorni che dovevano passare per arrivare a quella data sembravano a Mario infiniti. Una frenesia si era impadronita di lui e stava impazzendo per capire come avrebbe fatto a riempire quel tempo.
Ma cominciò, di nuovo, con il mettere ordine nelle sue stanze fredde e polverose. La polvere del tempo in cui lui non aveva vissuto.
Erano passati anni da quel maledetto giorno e molte cose erano rimaste come erano allora. Non aveva osato cambiare niente. E non ne avrebbe avuto nemmeno la forza.
Ma dei cambiamenti, suo malgrado, c'erano stati. La sua salute non era stata più la stessa. La sua mente non aveva più la lucidità di un tempo.
Aveva come dei buchi neri nei ricordi. Rimuoveva alcune cose, così come aveva rimosso l'incidente.
Solo il volto di Berenice, quello sì, quello lo ricordava bene.
Alcune giornate erano, invece, state avvolte nel buio dell'oblio.
In ogni caso quelle giornate furono dedicate alla sua casa dall'aria stantia. Voleva riassettare tutto. Eccetto quella stanza che era rimasta chiusa da anni. Lì entrava solo nei momenti di disperazione, quando tutto sembrava precipitare.
Il più delle volte sembrava non ricordare nemmeno che la stanza fosse lì. E non sapeva più cosa contenesse.
Iniziò dalla sala, dove conservava i ricordi più intimi, come la foto.
Rovistando nei cassetti del comò si ritrovò in mano anche quella preziosa scatolina in legno che da tanto non toccava. Aveva la forma di un portagioie. Per lui era sempre stato un oggetto prezioso che nessuno doveva vedere.
Lei vi conservava le sue cose più care e lui, ad oggi, non ricordava più cosa contenesse.
La guardò fisso e un lampo illuminò la parte nera della sua memoria. Passò come un lampo un'immagine di una donna distesa su un letto. Il sangue le macchiava la camicia da notte. Gli occhi aperti fissavano il soffitto. La sua bocca, mezza aperta, faceva vedere i suoi denti brillanti. Le mani conserte davanti a sè.
No!!!!! Quella visione spezzò il suo cuore. E si ricordò in un attimo cosa conteneva quella scatolina.
Si affrettò a riporta nel cassetto. Lo chiuse a chiave e bevve  un bicchierino di liquore. Così, per dimenticare.
Il giorno dopo si alzò, completamente immemore di quello che aveva ricordato.
Dette da mangiare a Peppe e fece colazione, come sempre.

lunedì 5 marzo 2012

IL RICORDO DI BERENICE - quinta puntata

Allora, lì seduti sulla panchina, ci fu un attimo di imbarazzo. Ma, stranamente, Mario decise di rompere il ghiaccio.
"E' una bella giornata, vero?" - disse.
La donna annuì e lo guardò sorpresa ed emozionata.
"Sì, le prime giornate di primavera sono le mie preferite." - aggiunse lei.
Mario non sapeva come continuare quella banale conversazione, ma questa volta aveva uno scopo e doveva tentare di tenerla viva.
"Viene spesso a passeggiare?"
"Sì, quasi tutti i giorni a quest'ora.
"Anch'io. E' la cosa che aspetto di più in ogni mia giornata. Mi dà conforto, mi distende." - rispose lui.
"Beh, allora, potremmo fare due passi insieme. Le va?"
Lui non se lo fece ripetere, pur temendo di non saper reggere il peso di una conversazione che non aveva più l'abitudine di fare con nessuno.
Si avviarono verso il Caffè delle Mura. Lentamente, con Peppe tra di loro.
La donna era molto loquace, così il tempo passò e Mario non si stancò troppo a trovare argomenti.
Arrivarono di fronte al Caffè e dalla bocca di Mario uscirono queste parole:
"Vuole accettare un invito a cena, a casa mia? Non sono un grande cuoco, ma se si accontenta...."
Le parole sorpresero persino Mario, che arrossì visibilmente. Se le sarebbe volute rimangiare. Ma ormai era fatta.....
La donna rimase un momento perplessa. Non si aspettava da un tipo come quello una proposta così.
Ma, a sorpresa, disse:
"Sa, anch'io vivo sola e mi sento sola, credo come lei. Ed il mio carattere non mi ha permesso di incontrare molte persone. In genere, non trovo mai il coraggio di cambiare le cose e di accettare novità. Ed è proprio per questo che oggi vorrei accettare con piacere il suo cortese invito. Ho voglia di aprirmi un po' di più al mio prossimo. Certo. Vengo volentieri. Quando? Faccia lei."
Mario non si aspettava un commento del genere...Ma ne fu contento e terrorizzato, al tempo stesso.
Come avrebbe fatto a sostenere la situazione? Ma aveva avuto quello che cercava.
"Va bene sabato sera, verso le sette?" aggiunse lui.
"Perfetto! Ci sarò. Poi, mi darà il suo indirizzo." cinguettò la donna.
Lei si chiamava Bianca.
Mario, da questo momento si sarebbe preparato all'incontro. Da ogni punto di vista.

martedì 28 febbraio 2012

IL RICORDO DI BERENICE - quarta puntata

Quando aprì gli occhi, il mattino dopo, si sentiva bene. Aveva voglia di alzarsi e prepararsi il solito caffè, ma aveva anche fame.
Dopo una visita in bagno, andò diretto in cucina, meravigliandosi della forza e della strana positività che si sentiva dentro.
E poi, si ricordò. Il sorriso non l'aveva mai abbandonato. Persino durante la notte l'aveva sognato.
Si disse che nel pomeriggio sarebbe andato a sedersi su quella panchina davanti al laghetto ed avrebbe atteso. Una specie di frenesia lo prese. Erano anni che non provava quei sentimenti. Erano anni che non provava sentimenti.
Dopo il caffè, bevuto in compagnia di Peppe, cominciò a sbrigare quelle poche commissioni che un uomo solo aveva da fare. Mise un po' in ordine, fece una lavatrice, pulì il bagno. Aveva voglia di mettere un po' a posto nella sua casa e, forse, nelle sue giornate vuote.
Mentre stava spolverando il comò, si ricordò della foto vista il giorno prima ed ebbe voglia di tornare ad osservarla.
Aprì il cassetto e gli occhi della donna erano lì. Un tuffo al cuore. Prese con le dita tremolanti la foto ed ebbe l'impulso di baciarla. Quella ragazza d'altri tempi non era mai uscita dal suo cuore. Nessun evento della sua vita aveva cancellato il suo ricordo. Riaprì gli occhi, dopo quel bacio delicato ed ammirò ancora quel viso sorridente. Gli mancava ancora.
In tempi passati, aveva avuto la tentazione di non sopravviverle, ma gli eventi e la mancanza di coraggio lo avevano trattenuto. Così, lui era ancora lì, nonostante tutto.
Accuratamente, rimise la foto amata nel cassetto ed il buio calò di nuovo su quel viso.

Come avrebbe passato il tempo che intercorreva prima di tornare su quella panchina? Un senso di vuoto lo assalì. Decise di andare a pagare qualche conto arretrato, lasciato qua e là per negozi. I soldi erano misurati, ma, tirando un po' sui conti, ce la poteva fare.
Ordine, mettere ordine.
Uscì e, a piedi, si avviò nelle botteghe che aspettavano che lui saldasse i suoi debiti.
A fatica, ma arrivarono le tre, ora della sua passeggiata sulle Mura con Peppe. Eseguiti i soliti riti della partenza, finalmente, arrivò alla salita delle Mura. La panchina era là, vicina. Peppe si fece trasportare là e si lasciò accomodare gentilmente accanto a Mario.
Ma ecco, come un miraggio, un'altra persona abitudinaria. La donna del giorno prima, che arrivava a passo svelto e con aria allegra.
Mario la vide e le fece un cenno di saluto con la testa. La donna si avvicinò, si sedette e gli sorrise.
Ora finalmente Mario capì. Quel sorriso lo conosceva. Apparteneva ai suoi ricordi. Come? Non riuscì a capirlo subito, ma realizzò questo: quel sorriso gli apparteneva.

lunedì 20 febbraio 2012

IL RICORDO DI BERENICE - terza puntata

Arrivò a casa alle cinque in punto. Come sempre.
Mise la chiave nella toppa ed aprì la pesante porta. Appoggiò la gabbietta vicino alla finestra, su un vecchio tavolinetto.
Si tolse il cappotto e lo attaccò. Gesti che faceva tutti i giorni e che, da una parte, lo rassicuravano, dall'altra lo condannavano alla solita monotonia.
Si sedette sul divanetto che lui copriva con un telo stampato, a fiori. Sua madre glielo aveva dato anni fa. Era un ricordo degli anni passati, quando lui era un ragazzino.
Accanto a lui c'era la radio. La accese sulla sua stazione preferita. Una cosa che a lui piaceva: la musica classica. Maria Callas, con la sua voce cristallina e la sua personalità forte e fragile, lo incantava
Si rilassò per un momento. E fu così che l'immagine della donna incontrata sulle Mura gli tornò alla mente. Non le aveva nemmeno chiesto come si chiamava. Ma, in qualche insondabile modo, lo aveva colpito.
Si fece cullare dal sorriso confortante di lei e dalla sua voce.
Dopo quel breve riposo, si alzò per prepararsi la cena. Cenava presto, verso le sei e mezzo. Così poteva vedere qualche quiz in televisione e poi andarsene a letto.
Aprì il frigo. Erano rimaste poche cose. Lui odiava cucinare, ma era solo e non poteva far a meno di mangiare qualcosa. Trovò il tonno e prese i fagioli dalla dispensina accanto alla cucina. La cena c'era. Il pane: quello del giorno prima. Non avrebbe avuto molto da fare, si disse.
Quindi, dedicò qualche momento a dare a Peppe il suo mangime ed anche un po' di erbette che aveva raccolto sulle Mura. Peppe lo guardò incuriosito. Poi, timidamente si avvicinò alle erbette.
Mario mise la tovaglietta sul tavolino che stava proprio davanti al televisore. Nel passare davanti allo specchio si guardò. Era un uomo triste. Senza vita. Era già quasi morto e se ne rendeva conto.
Ebbe di nuovo, forse per contrasto, la stessa immagine del sorriso radioso della donna. Pensò che, forse, avrebbe avuto bisogno ancora di quel momento. Avrebbe voluto avere quella donna lì, solo per vederla sorridere. Non era importante quello che diceva. Per la prima volta, dopo anni, sentiva il bisogno di un gesto amabile come quello. Si meravigliò di sè. Che era successo?
Per porre fine a quella nostalgia mista alla frenesia provocata dal ricordo, si disse che il giorno seguente avrebbe cercato quella donna sulle Mura e si sarebbe seduto sulla stessa panchina per aspettarla. Se la fortuna lo avesse aiutato, sarebbe riuscito nel suo intento.
Ma lui non credeva nella fortuna. Solo nel caso.
Preparò la tavola, con misere cose, rovesciò il tonno ed i fagioli nel piatto. Si tagliò una fetta di pane. Si versò un po' di vino, allungato con l'acqua ed iniziò a mangiare, guardando il suo gioco in tv.
Aveva rimandato al giorno dopo tutte le sue aspettative.

domenica 12 febbraio 2012

IL RICORDO DI BERENICE - seconda puntata

La passeggiata sulle Mura iniziò salendo il ripido passaggio accanto alla sua Porta preferita. Quella che portava un nome di donna: Elisa. Peppe saliva con lui, oscillando nella sua gabbietta.
Faceva freddo e Mario si era messo un cappotto grigiastro ed una sciarpa nera. Si sentiva bene quando sulle Mura c'era poca gente, come quel giorno. Arrivò su e iniziò a camminare, a passo lento. Ogni suo passo mostrava la sua stanchezza e malinconia. Strusciava un po' le scarpe, come trascinandosi dietro i suoi piedi. Peppe lo guardava.
Le poche persone che incontrò erano quelle che, irriducibilmente, avevano bisogno, come lui, di quella passeggiata. E non  si meravigliarono del suo compagno alato. Solo in estate, quando il suo percorso quotidiano pullulava di turisti e sportivi improvvisati, la sua presenza destava curiosità. E lui odiava essere al centro dell'attenzione.
Arrivò, lentamente al primo baluardo delle Mura e sentì il bisogno di sedersi un pò. Mise Peppe sulla panchina accanto a lui e si mise a respirare quell'aria fredda e umida. Ed a osservare.
Davanti a sè c'era un giardino, che si poteva ammirare bene dalla sua posizione. Un orto botanico. Si diceva che fosse legato ad una leggenda in cui una nobildonna aveva perso la vita cadendo nel suo stagno una notte. La gente del posto raccontava che la sua carrozza fosse stata data alle fiamme dal Diavolo, che inseguiva la bella donna. Ma lui non credeva alle leggende. La sua unica realtà era la sua.
Seduto immobile, ammirava gli alberi del giardino.
Senza che lui se ne accorgesse, una donna si era messa a sedere accanto a Peppe.
Dopo qualche secondo, Mario sentì un respiro profondo accanto a loro. Si voltò. C'era una donna, vicino a lui. Si era messa a giocare con Peppe.
La cosa, ad un primo impatto, lo aveva disturbato molto. Ma la donna alzò lo sguardo e gli sorrise. Un bellissimo sorriso, nonostante non fosse più giovane, nè bella. Il suo sorriso, per un momento, lo rilassò.
Una signora di un'età indefinibile, tra i cinquanta ed i sessanta. Vestita in modo distinto ma comodo. Un po' sovrappeso.
La donna prese per prima la parola: "Che bello questo canarino! Complimenti! Ne ho anch'io alcuni a casa. Sono la mia passione."
Mario non era interessato a questa conversazione. Ma, per cortesia, disse: "Ah, bene."
La donna non si fece raggelare dalla sua risposta e continuò con gli elogi ai canarini e proseguì con enumerare i vari animali  che aveva ed aveva avuto. Mario ascoltò. La donna amava parlare.
Mentre parlava, ogni tanto Mario la osservava e, piano, piano, rimase colpito da quel sorriso, bonario e rassicurante. Gli occhi di Mario di bloccarono sulla sua bocca. Ne rimase estasiato.
Non gli era mai successo. I suoi occhi ora specchiavano le labbra, i denti, le smorfie della donna.
Cominciò ad interessarsi a quello che diceva, seppur ovvietà per lui.
Ad un tratto le disse, questa volta partecipando alle parole che stava per dire: "E' di queste parti? Io sono di qui."